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GP On The Silk Road 2024

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L’idea di questo viaggio nasce come sempre per un aspetto culturale e storico. Ritengo il Caucaso e L’asia un connubio ideale, dove esiste un rapporto anche con le persone, il tempo e l’avvento dei social hanno cambiato il modo di fare delle persone ma si respira ancora aria di un tempo.

Mi mbarco da Ancona per Durazzo Albania. Dove sbarco all’indomani. Salgo verso il confine della Macedonia del Nord, la sera dormo sul lago del parco nazionale Mavrovo, fa freddino ma sono ben attrezzato.

All’ indomani giungo a Skopje, la capitale, si respira aria di oriente, quando visito il bazar, con i suoi colori e spezie. Poi un giro al centro storico e la musica cambia, un crogiolo di etnie che si rispecchia nei tanti negozi di souvenir e ristoranti, ognuno con le proprie tradizioni e usanze.

La Bulgaria è la prossima destinazione, Sofia mi accoglie con un nubifragio. La modesta abitazione è la dimora di ragazzi russi in fuga da un possibile coinvolgimento nella guerra in Ucraina, provo ad attaccare bottone ma non si va oltre un hello, mi ci dovrò abituare.

Visito il centro in moto poi via verso Plovediv, dove dormo ma ho anche il tempo di visitare l'antico Teatro romano di Filippopoli, che in passato poteva accogliere circa 6.000 persone, ospita oggi opere e concerti. Scendo a sud verso il confine turco, le temperature sono cambiate.

Mentre mi avvicino a Gallipoli incontro Paco e consorte fermi ai lati della strada, con il pneumatico posteriore a terra, vorrei aprire officina ma hanno chiamato carro attrezzi. A Gallipoli ripariamo ruota e decido di fermarmi nello stesso hotel.

Parto di buon mattino, supero il ponte e mi ritrovo in Asia, geograficamente parlando, il ponte più lungo al mondo considerando le 2 campate. Mi aspettano oltre 2000 km per raggiungere, il confine del Kurdistan Iracheno di Zakho. E’ un Sali scendi attraverso la Turchia evitando autostrade. Dormo a Cizre, in Turchia prima di andare al confine, tutto è cambiato. Temperature, caratteri somatici, abitudini culturali, siamo nella parte del kurdistan turco, militarizzato. Per 150 km ho fiancheggiato il confine con la Siria, 150 chilometri di filo spinato in 2 settori.

Il Kurdistan Iracheno è stato fino a 3 anni fa luogo di presenza dell’ Isis, ma ora è un’ isola felice, come mi racconta Billy, così si fa chiamare, ha vissuto in Italia e oggi lavora in dogana, grazie a lui in un attimo sono fuori dalla dogana.

Scendo verso Mosul, lo supero e nel tardo pomeriggio giungo a Erbil. Un paese dinamico con una capitale politica in evoluzione. Parcheggiata la moto, mi configuro da turista e vado al centro con l’antica fortezza che domina la piazza sottostante. E’ un brulicare di persone, sotto i portici il commercio ovvero il bazar, viuzze strette dove trovi di tutto con la scenografia di un tempo. L’indomani torno e passeggio per la città acquisto un kg di ciliegie per neanche un euro. La riflessione che mi scaturisce spontanea è riferita sempre all’Isis non c’è traccia, quindi mi propongo, il giorno seguente, di salire al nord costeggiando il confine iraniano.

Fa caldo ma uscito da Erbil salgo verso le montagne, ritrovo il fresco ma pure tanti blocchi militari, gentilmente mi chiedono il passaporto ma quando vedono che sono italiano un thanks and go, ringrazio e proseguo. La sera sono di nuovo in frontiera. Dalla parte turca attendo più di un’ora prima che si aprano i cancelli, tutti si sono adoperati per farmi parcheggiare in prima fila, ringrazio e vado, stesso hotel di Cizre, Sprofondo nel letto.

Fatta colazione si va a nord, destinazione Lago di Van. Supero passi sopra i 2000 mt, la temperatura è cambiata ma con addosso la tuta Springbok della Dainese, tutto è relativo. Sono in pieno Kurdistan, quello tosto, dalle tradizioni secolari e mai sopite contro l’occupante non riconosciuto, il governo turco. Non c’è occasione, dove sosto, che mi venga ricordato. Supero Tatavan a Ahlat trovo un albergo in riva al lago. Il proprietario è gentilissimo, hotel nuovo, con vicino un ristorante, tappa di camionisti, allora “se Magna bene” .

La notte piove e al mattino è tutto sereno, visito il sito appena fuori città, un insieme di arte armena e araba, prossima tappa Kars.

Dopo 300 km giungo in città, la Cittadella, la fortezza, domina la piana su cui si estende Kars. La storia racconta, dalle origini, di luogo conteso specialmente nel secolo scorso tra Turchia e Russia. Per tutto il periodo della guerra fredda Kars è rimasta nel dimenticatoio, per poi tornare di attualità negli anni 90 quando era unico ingresso per l’ Armenia. La crisi del Nogorno-Karabakh, con gli azeri vicini alla Turchia, ha portato alla chiusura della frontiera, oramai da decenni.

Giornata uggiosa, sono al confine georgiano. Nel 2021, per covid, non sono passato in senso inverso, i turchi non facevano entrare, questa volta non ho problemi. La strada che scende per Akhalkalaki è una lunga fila di camion, do retta alla cartina e mi ritrovo in un piccolo paesino dove la strada finisce in una casa, roba da matti. Torno sui passi e in un’ora faccio di nuovo frontiera con l’ Armenia, da record.

Il meteo è avverso, giungo a Gyumri la città più industrializzata dell’Armenia. La signora che mi accoglie nel B&B è gentilissima peccato che parli francese come 3° lingua, io ne rusky ne armeno, allora il traduttore del telefono fa la differenza. Cena poi a nanna.

Colazione e via, destinazione Lake Arpi National Park. Il meteo fa le bizze, ultimi 40 km finisce asfalto ma non ho problemi con la kappona. Entro nel parco e faccio salire il drone, spettacolo. Torno in città per altra strada, prima del B&B sosta d’obbligo ad un lavaggio, la moto ringrazia.

Giornata calda, il sole dopo la tempesta, piego a est verso Varadzor, l’amico Saro mi attende. Ogni volta che metto ruote in Armenia è doveroso passare da lui. Moto in garage e 2 giorni in famiglia, mai andare contro le usanze.

Siamo a saluti ma non riesco a partire sul presto, ogni scusa è buona per rimanere. La prossima destinazione è Erevan, la capitale. Sono in periferia, per trovare B&B gli sono passato avanti 10 volte, fortuna una signora che parlava inglese altrimenti ero ancora lì che giravo a vuoto.

Passo un giorno a pianificare i prossimi giorni. L’ Armenia è un paese atipico per tradizioni. La prima al mondo ad avere sancito la religione cristiana come religione di stato, in un contesto che non la favorisce e dove di attualità è l’eterno conflitto del Nogorno-Karabah, nel momento che scrivo con un amaro epilogo.

I monasteri, un’infinità, sono tra le attrattive di questo paese. Il più carismatico si trova a un 50 km da Erevan e quello del Korh Virap, a ridosso del confine turco con il monte Ararat a fare da sfondo, un tempo in territorio armeno. La fortuna vuole che non ci sono nuvole e così i 5700 mt con la cima innevata sono motivo di scatti infiniti.

Si scende a sud verso il monastero Tatev. Tira aria terza, gli azeri a volte sparano alla dove coglio coglio. Tutti mi invitano a passare da altra strada, piove e fa freddo. Tatev è arroccato su una montagna dove per arrivare sembra di essere sulle strade dello Stelvio.

Mi fermo 2 giorni, quando riprendo la via del ritorno il meteo è migliorato. Punto verso il lago Sevan, uno dei laghi più alti al mondo navigabili. Faccio tappa al monastero di Novarank, arroccato sul una montagna, poi proseguendo per Sevan, percorrendo una delle antiche via della seta.

Dormo in famiglia, tutto bello, quattro chiacchiere per quello che si può, qua se non parli russo nada de nada. Al mattino vado al visitare il monastero di Savanank, situato su un promontorio, una volta isola, fino a che Stalin decise di creare un canale per portare acqua altrove. Il livello oggi risulta 20 mt più basso.

La sera giungo a Tlibisi ed è una doccia fredda. Il mio amico georgiano Giorgi mi dice che la frontiera con Arzebajan è chiusa. Una decisione azera che implica rimodulare il viaggio. Ho 2 visti russi che avrei dovuto usare una volta uscito dal Kazakistan, ma gli avevo programmati per una data, che al momento è di 20 gg più in là. Provo a sentire la nostra ambasciata, nemmeno mi fanno entrare, sconcertante è il modo, giro le spalle e vado in ufficio dove vengono rilasciati visti russi sotto l’egida dell’ambasciata svizzera. L’ambasciata russa ha chiuso i battenti nel 2008 quando la Russia invase l’ Ossezia del nord. Una doccia fredda mi attraversa il corpo, mi rilasciano visto di transito in 6gg ma devo rinunciare ai 2 visti. Rifletto e decido per questa scelta anche se sarà un lago di sangue. Alla fine tra traduzioni, assicurazioni medica e quello che avevo speso se ne vanno oltre 500 euro. Nei giorni successivi faccio il turista, visito alcuni monasteri situati nel Caucaso e la vecchia citta di Vardzia, una piccola Cappadocia georgiana.  Akahaltsikhe è il giro di boa prima di tornare a Tliblisi. Un sms mi dice che il visto è pronto, quindi moto carica punto verso l frontiera nord per la Russia. Dormo a Stepantsaminda, visito la chiesa della Trinità Gergeti. Le montagne intorno sono tutte innevate.

Il mattino successivo mi armo di tanta pazienza, la situazione internazionale è quella che è, immagino che alla frontiera russa sarà da tribolare. Mi controllano tutto, poi quando c’è da registrare la moto è una lotteria a che è più furbo. I russi allungano il passaporto con rubli dentro, mi passano avanti in 5, poi mi vesto da “matto” e alzo la voce nei confronti dell’addetta che oltre il vetro. Mi ripete più volte che che parla solo russo, in inglese gli indico la collega che mi aveva controllato i bagagli, che parla un fluente inglese. Si avvicina e gli dico che è il mio turno che non pago un rublo perché non devo pagare nessuno. 10 minuti è mi vengo dati i documenti. Sono passate 3 ore. Il giorno prima un ragazzo italiano e 2 tedeschi hanno trascorso 9 ore. Faccio due conti e decido di andare per Groznyj Cecenia, tanto malfamata quanto tranquilla. L’attraverso,  alla popolazione russa si è sostituita quella di fede islamica. Un gruppo di ragazzi al distributore vogliono una foto insieme, detto e fatto. Altri 150 km e sono in Daghastan, altro stato islamico della Federazione russa sul mar Caspio. Frontiere che si susseguono senza un controllo, finchè non arrivi a quella della federazione russa. Tutti in fila per i controlli. E’ notte quando entro a Astrakan, mi sono messo alle spalle 650 km.

A fatica al mattino carico la moto so cosa mi aspetta una volta oltrepassato il fiume Volga su zattere di lamiera. Ancora 30 km e mi ritrovo in frontiera con Kazakistan. Le formalità sono veloci anche perché la moto non deve fare nessuna operazione doganale, visto l’interscambio che c’è con la Russia. La strada che porta a Atyrau è in costruzione, rispetto a 5 anni prima c’è un lungo tratto asfaltato. Quando finisce si viaggia di lato, polvere, camion da superare e tanto per non farmi mancare nulla, pure una tempesta di sabbia. Il mio amico Aidos mi aspetta in hotel. Doccia e si va a cena insieme in un tipico ristorante che ricorda la Mongolia. I kazaki assomigliano in tutto ai mongoli, pure nelle tradizioni, quando mi propone di bere latte di cammella, declino non sopporto l’acidità del contenuto.

Siamo ai saluti, proseguo verso sud per Beyneu. Supero Kulsary, pochi chilometri e in diretta mi trovo davanti una scena raccapricciante, che vedo da lontano. Un frontale tra 2 auto. Un’auto finisce in fuori strada con un principio di incendio. Chi sopraggiunge cerca di domarlo, poi estraggono le persone delle 8 che occupavano le 2 auto 7 sono decedute. L’unico sopravvissuto ha il viso tumefatto, con un occhio che è quasi fuori. Faccio fatica a risalire in moto, non è facile, la testa è invasa da 1000 riflessione e non puoi permetterti di averla altrove.

A Beyneu so dove dormire, è la quarta volta che passo qua. Sveglia all’alba, la frontiera dista 70 km, ora è tutta asfaltata. Non dal lato uzbeko, dove ritrovo un pessimo fuoristrada. Piove è uno slalom tra le buche. Un camion mi scarta e lo trovo davanti, pigo a destra e la ruota anteriore va sul fango, va vai e così mi sdraio. Nulla di che, la velocità era bassa ma sono tutto infangato. Dormo a Nukus. Fortuna che l’indomani c’è sole. Un paio di ore di viaggio e parcheggio nel centro di Kiva, una delle leggendarie città sulla via della seta. Per 2 giorni si fa il turista.

Ora il clima è secco, sono in pieno deserto quello del Kizilkum che è condiviso dal Turkmenistan. Riparto da Kiva,  costeggio il confine poi supero l’Amudaria, il fiume più lungo dell’asia che nasce dall’Afghanistan. Lo faccio su un ponte di zattere decrepite, chi con la mazza abbassa le lamiere, chi con la saldatrice cerca di tenerle insieme, che ridere. Quando giungo a Bukara, faccio fatica a ricordarmi dove andare a dormire. Una serie di divieti hanno cambiato la viabilità e muoversi con la moto carica diventa un terno al lotto, non demordo.

La torre Kalan un tempo era la costruzione più alta del centro Asia. Tamerlano la risparmio dalla distruzione, anzi ne prese spunto per costruire il Rajastan di Samarcanda, che raggiungo dopo 2 giorni.

Il turismo l’ha fatto da padrone. La sera vanno in scena luci e suoni che nulla hanno a che fare con la quiete delle giornate assolate. La prima volta che misi le ruote qua era l’anno 2000. Con questa sono 5 volte che passo a Samarcanda e sinceramente faccio molta fatica a riconoscerla. Ora si paga il biglietto per l’ingresso al Rajastan, di sera i viali sono impestati da veicoli a batteria guidati a tutta velocità, come se qualcuno dovesse avere un premio. Resisto tre giorni, di cui uno lo dedico alla manutenzione della moto. Cambio Olio e filtro, ho tutto con me. Poi lascio bagagli e per 3 giorni vado nella valle della Fergana, una delle zone più rigogliose dell’Uzbekistan.

Rientrato a Samarcanda ho un pomeriggio per organizzarmi. Domani si entra in Tagikistan altro giro altro stato e siamo ad 11.

Sveglia alle 7, carico moto, colazione e via, pieno al distributore e punto verso il confine.

Sono in fila per il timbro al passaporto. Il poliziotto allo sportello, con passaporto in mano, mi chiede telefono. Lui russo io inglese, colloquio tra sordi. Fortuna che ho un signore dietro che parla inglese e fa da traduttore. Vuole il telefono per fare foto sul pc, non capisco. Sempre l’interlocutore mi dice che devo andare nell’uffico vicino dove c’è la banca, Ma non devo cambiare i soldi, no devi pagare 3 multe per eccesso di velocità Me cojoxx. Vado pago in totale 42 euri. Uffici del Tagikistan, 20 minuti e sono fuori della frontiera, non mi resta che arrivare a Dushanbè la capitale. E’ domenica e non c’è traffico, trovo da dormire in un motel della polizia, almeno sono al sicuro. Il lunedì riordino l’idea, acquisto una sim. Ho 2 starde per Kaylakum, una che è corta ma attraversa le montagne, l’altra più lunga, asfaltata  ma veloce. Opto per questa ho 10000 km alle spalle e i pneumatici sono quasi alla frutta specialmente il posteriore. Sarà una scelta saggia, quello che accadrà dopo sarà un investimento.

Costeggio il confine con Afghanistan, a tratti sono a 500 mt dal confine con frontiera. Arrivo a Kaylakum, faccio pieno di benzina poi hotel. Nella capitale mi era stato detto che per andare a Korog c’erano dei problemi sulla strada. La Pamir la conosco, sono qua per la terza volta. Stanno facendo dei lavori per sistemarla, con imprese cinesi. Attraversa vallate a oltre 4000 mt. L’unica finestra per percorrerla è dalle 3 del mattino fino alle 7. Dopo di che il tratto interessato resta chiuso con un’ apertura alle 12 per pranzo.

Alle 3 sono on the road e in off. Supero un camion in mezzo a una nuvola di polvere, sento una botta al posteriore, sarà un sasso, magari. Un chilometro e il posteriore è a terra. Va bhe ci sta, ho tutto per riparare il tubeless. Una mazzata tra capo e collo. Ho preso un ferro che mi ha fatto un taglio al pneumatico. Metto inserti nel foro, più di uno, gonfio sembra che tiene. Riparto intanto fa giorno. 50 km e sono da capo. Ora sono 2 i fori. Chiudo di nuovo. Arrivo al checkpoint in ritardo, il pneumatico tiene, questo è importante. Dopo circa 200 chilometri ritrovo l’asfalto, che sollievo. Non faccio in tempo a pensarlo che sono ancora con pneumatico a terra. Non volevo. Apro officina, tiro giù tutto, valige e borsone. Smonto la ruota, la stallono e metto camera d’aria. Arrivo a Korog. Sono stanchissimo. Per due giorni mi riposo. In un negozio acquisto altri turacci, così li chiamo, per il tubeless, non ne sono convinto, lo spacco è sempre più grande. Cerco pure una camera d’aria. Ma nemmeno l’ombra di una misura che gli si avvicini, impensabile da moto ma almeno da auto.

Ora ho due strade difronte scendere a sud lungo il confine con Afghanistan e trovare vari villaggi ma in off, oppure tirare dritto verso est per la mitica M41 fino a Murgab. C’è un altro dilemma che da giorni anima il web, la frontiera chiusa a 4200 del passo Kyzylart, da mesi ci sono tensione tra i confini dei 2 stati per 800 km mai definiti, un altro arrosto della vecchia Unione Sovietica. A Dushanbe avevo avuto una idea, frutto dell’ esperienza. Avevo cercato sul web il sito del Ministero del Turismo Kirghiso. Avevo inviato una mail, e quando a Korog apro pc, vedo risposta, basta che invio una foto del passaporto e una foto di una foto. Loro comunicheranno in frontiera del mio arrivo e sarò autorizzato a passare. I ragazzi presenti in albergo mi chiedono dove vado. Kirghizistan, e loro non si passa. No si passa basta fare questo e gli mostro risposta. Parte il Tam tam e la sera sono sommerso di ringraziamenti il vecchio GP ne ha sempre una. E il pneumatico? Non ci penso. Vado per la M41, la Pamir Road. Piccoli paesi, poi un paio di passi a oltre 4500, lo percepisco dalla moto che ha un calo di potenza. La sera sono a Murgab dove incontro Enrico di Lecce, non ci conosciamo ma da quando mi ha contattato e ha capito che si può attraversare il confine, ha deciso di incontrarmi qua. Faccio benzina dal solito distributore con bidoni, è un 83 ottani ma sono fornito di additivo. Ci troviamo con Enrico lui dorme altrove io vado dove avevo dormito 15 anni prima un bed and breakfast sulla collina. Parcheggio riconosco la signora, la proprietaria che parla un ottimo inglese. Non dico nulla, ma quando mi porta la cena, mi chiede se sono già stato qua. Si e lei 15 anni fa, esatto eravamo io un inglese 2 ragazzi tedeschi, tutti in moto. In quell’occasione venivo dal Pakistan. Ceno poi a nanna.

Al mattino mi trovo con Enrico, puntiamo la frontiera. Si sale è si scende, si costeggia il confine cinese, chilometri di filo spinato a fare da confine, poi laggiù in fondo il lago Karakul, omonimo dell’altro lato in territorio cinese. Questo lago fu creato da un meteorite caduto 10000 anni fa. Da quà al confine tanto vento, con il fatto che non transitano i locali, la strada è un colabrodo. Al confine Enrico non trova il foglio d’ingresso della moto, mi allontano, se c’è da sganciare qualche dollaro non servono testimoni. Passo la frontiera e scendo a capofitto in off fino a quella kirghiza. Nulla di simile a quella tagika. Ora a 5 anni di distanza ne hanno costruita una nuova. Sono aldilà del cancello e mi viene chiesto il passaporto. Arriva il comandante che parla inglese, mi chiede se ho fatto la domanda per autorizzazione, certo. Dopo un pò mi fanno passare per la registrazione, la moto rimane aldilà del cancello, Arriva anche Enrico. Sulla blacklist il mio nome c’è ma quello di Enrico no, ha fatto domanda più tardi. IO vado e lui resta lì, c’è un edificio dove piazzerà la tenda, siamo a oltre 3000 mt e fa freddo. 30 km mi separano da Sary Tash, crocevia per la Cina. Solito albergo delle volte precedenti.

Al mattino al ristorante faccio preparare, frittate, biscotti, acqua, salumi e pane. Torno indietro in frontiera. Enrico dovrà  aspettare lunedì, oggi è sabato e lassù non c’è nulla. Arrivo al gate e il militare chiama il comandante, che apprezza il gesto, mi fa attraversare la frontiera e consegnare personalmente i viveri ad Enrico. Torno a Sary Tash, faccio pieno e via per Osh, dove arrivo nel primo pomeriggio. Controllo il pneumatico, qui lo troverei ma ora mai arrivare ad Almaty manca poco. Gli ho ordinati, sono 900 km.

Montagne, panorami mozzafiato, 300 km prima di Biskhek, la capitale del Kirghizistan, mi ritrovo con pneumatico a terra. Forata camera d’aria. Apro kit acquistato a Korog ma mastice andato confezione vecchia. Non mi do per perso. Ho attack , incollo la pezza tiene. La sera dormo in tenda e all’indomani mi fermo da un gommista. Non ricordo più quante volte ho smontato la ruota. Mette toppa alla camera d’aria, ma è lo spacco che si è ingrandito. O la va o la spacca, oramai sono nel mondo, male che vada la carico. Arrivo a Biskhek, e la ruota dietro fa uno strano gioco, cuscinetto lato disco andato ma qua c’è il mio amico Giuseppe che gestisce un ristorante, mi sento a casa. Prima cosa la sera un bel primo e secondo di cucina italiana. A stomaco pieno si ragiona meglio.

Al mattino tiro giù la ruota e con l’aiuto di Giuseppe recuperiamo il cuscinetto.

Ora mi mancano 235 chilometri per Almaty. Faccio frontiera ma a 25 chilometri dall’ ex capitale del Kazakistan, il pneumatico mi abbandona, non posso fare più nulla. Chiamo il Ragazzo della concessionaria e gli dico che sono in panne. Aspetterò 3 ore prima che arrivi con il furgone….25 km ……..

All’indomani mentre mi sostituiscono i pneumatici, vado al consolato russo. Nessuno spiccica una parola d’inglese. Una ragazza mi dà un aiuto. Parlo con la segretaria del console. Primo intoppo che ho è il passaporto senza più una pagina per mettere visto. Poi devo attendere 5 giorni prima di essere ricevuto. Faccio due conti, anche se dovessi prendere il visto devo attendere 10 gg. Poi in Mongolia ho lo stesso problema. Il visto di transito è valido in base ai km. Dalla frontiera mongola a quella della Lituania, la più vicina, sono oltre 5000 km che dovrei percorrere in 10 giorni. No cambio il piano. Chiamo Giuseppe e gli chiedo di prenotarmi un volo da Biskhek a Roma. La moto la parcheggio da lui, a maggio del 2024 torno e completo il viaggio, Dopo tre giorni sono in Italia.

 

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  • Biografia
    Biografia

    GP e quelle Due Ruote nel DNA

    La moto è nel DNA di famiglia. Mio nonno andava in moto, mio padre negli anni 50 faceva le gincane e, ad essere sincero, le vinceva. Io non potevo che ereditare questa passione.

  • Il Mondo Su Due Ruote
    Il Mondo Su Due Ruote

    Una vita in moto. E in due libri.

    Dopo 30 anni di viaggi in moto ho battuto le strade ed i sentieri di gran parte del mondo, ma ogni volta che approdo in una nuova terra lontana, il mondo, con le sue meraviglie, mi lascia ancora a bocca aperta...

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