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Asian Runways 2015: Report #1

2 LUGLIO

L’aeroporto di Narita - Tokyo mi accoglie sotto un forte temporale, che durerà ininterrottamente fino al giorno della partenza. Io nel frattempo devo ritirare la moto, che però arriva con la bellezza di 9 ore di ritardo. In albergo di primo pomeriggio mi fa visita Moruro, un componente del club KTM 1190 del Giappone conosciuto tramite Facebook. Quest’incontro si rivela una delle esperienze più belle sotto il profilo umano di questa prima parte di viaggio: insieme al mio nuovo amico, mi metto in contatto con la compagnia e ricevo la notizia che l’arrivo è confermato come previsto.

3 LUGLIO

Armato di tutto l’occorrente, entro nel docks doganale di buon mattino per timbrare il carnet per l`importazione. Ma arriva subito una doccia fredda (visto che piove, siamo in tema…): il documento deve essere autenticato dalla JAF, cioè l’equivalente giapponese della nostra ACI. Mi si dice che devo recarmi presso la loro sede lunedì, ma oggi è venerdì ed io non voglio attendere tre giorni fermo. Prendo il telefono e parlo direttamente con Mr. Sato, il presidente, chiedendo la cortesia di sbrigare la mia pratica in giornata: si può fare, ma devo recarmi personalmente alla sede di Tokyo.

Eseguo al volo: mi faccio indicare la strada, prendo un taxi e un treno ed in tre quarti d’ora sono alla JAF. Nulla da dire sui trasporti ferroviari, davvero precisi e velocissimi! Vengo accolto con la riverenza tipica del modo di fare giapponese; il signor Sato non c`è, ma ha lasciato disposizioni che si operi in maniera tempestiva. Consegno tutti i documenti, il gentilissimo funzionario mi dice di attendere un’ora e così ne approfitto per andare a mangiare qualcosa. Al mio ritorno è tutto pronto, prendo i documenti e riparto verso l’aeroporto, ma sbaglio qualcosa ed arrivo in ritardo di un’ora, dopo un cambio non azzeccato.

La dogana è sempre aperta, però stavolta l’impiegato è molto meno solerte e si perde tra controlli in archivio e consulti con altri colleghi, facendomi aspettare ben due ore prima di mettere il fatidico timbri sul carnet. Ho idea che da queste parti il senso di sbagliare venga punito indirettamente con atteggiamenti del genere. Il culmine si raggiunge quando mi viene chiesto di far apporre un timbro per la moto anche sul passaporto; a quel punto mi inalbero e faccio presente che il passaporto serve per far circolare la persona, mentre per la moto c’è appositamente il carnet. Nessuno obietta e così, alle 21, posso finalmente uscire dall’ufficio con i documenti in regola.

Vorrei farmi un giro nel circondario, ma non ho un goccio di benzina nel serbatoio ed i distributori hanno già chiuso da un’ora, così non mi resta che tornare in albergo.

4 LUGLIO

Alle 8:30 del sabato sono ancora all’aeroporto. Finalmente mi viene consegnata la moto, ma la ragazza addetta al deposito comincia a creare problemi: prima vuole la patente internazionale, poi chiede il libretto della moto, poi vuole sentire la polizia per la targa; sbotto e le chiedo “Scusa, per caso fai la poliziotta?”.

Ma non è ancora finita! Non posso portare benzina dentro la dogana e, visto che il serbatoio della mia KTM è vuoto, sono costretto a spingere la moto fino al distributore, che per fortuna è a soli 50 mt di distanza. Faccio il pieno, sbrigo le ultime pratiche e finalmente me ne torno in albergo in santa pace. Che sospiro!

Momuro mi chiama sul tardi: “Domani mattina alle 10 sono lì, andiamo a fare un giro con un po’ di amici.” Nel frattempo io vado a Tokyo e mi incontro con Francesco Ristori, un ragazzo toscano che lavora qui; anche lui si presenta in moto. L’appuntamento è davanti alla statua di Hachiko, il fedelissimo cane che per anni andò tutti i giorni alla stazione di Shibuya ad attendere il ritorno del suo padrone, in realtà morto improvvisamente sul posto di lavoro per un ictus. Fu accudito dalle persone che frequentavano la stazione, ma continuò a recarsi tutti i giorni alla stazione, sempre alla stessa ora, fino a quando non morì anche lui. La sua storia commuove il mondo intero da generazioni, tanto che la statua in suo onore fu costruita prima ancora che morisse.

Dopo l’appuntamento con Francesco torno in albergo: complice anche il fuso orario, sono veramente cotto.

5 LUGLIO

Maruro e i suoi amici arrivano puntuali in albergo; si parte, destinazione il grande Buddha a Ushiku Daibutsu. Piove, ma chi se ne importa!

Torniamo in albergo di sera, dopo aver trascorso una bellissima giornata. Ci salutiamo e diamo appuntamento ai prossimi giorni; io domani punto a nord, verso l’isola di Hokkaido.

6 LUGLIO

Tanto per cambiare, piove ancora. Parto sbagliando strada, ma per fortuna mi accorgo subito e mi rimetto sulla direzione giusta. Macino chilometri, poi a Sendai lascio la statale 4 e proseguo lungo la costa della prefettura di Fukushima, su cui si abbatté il disastroso tsunami del 2011.

La sera dormo a Kitakami. L’hotel è a conduzione familiare, molto tranquillo. Io faccio un paio di errori: prima entro con le scarpe (qui si usa viaggiare con le pantofole messe a disposizione), poi, nell’assaggiare una salsa “violenta”, faccio un colpo di tosse che mi fa riversare un po’ di soia sulla tastiera del pc. Bum! Tastiera inutilizzabile.

7 LUGLIO

Al mattino esco dalla costa e rientro per l’arteria principale; più vado a nord, più la temperatura si fa piacevole. La sera dormo ad Oma, domani alle 8 si traghetta per Hokkaido.

8 LUGLIO

La puntualità è una prerogativa ben nota dei giapponesi: alle 8 in punto si lascia il porto e dopo un’ora e mezza di navigazione siamo ad Hokkaido. Prendo l’autostrada che porta a Sapporo, località famosa per le olimpiadi invernali del 1972, contornato da una vegetazione possente. Una stranezza che noto da subito è che l’autostrada a tratti è ad una sola corsia, ma questo non sembra pesare più di tanto, vista l’assoluta scrupolosità con cui gli automobilisti da queste parti rispettano i limiti.

A metà del tragitto verso Sapporo esco dall’autostrada ed imbocco una strada normale, che passa attraverso montagne e vallate rigogliose, dove l’agricoltura è la prima attività; quest’immagine contrasta un po’ con l’idea che tutti, me compreso, abbiamo di questo popolo, visto sempre come il massimo della tecnologia. In realtà noterò più avanti quanto sia veloce la connessione ad internet dal telefonino e che, oltre al telefono, nemmeno la mia SIM funziona in questo paese. Credo che siano davvero un passo avanti sotto questo punto di vista.

Arrivato a Sapporo parcheggio in centro, dove ho un appuntamento con Hidetoshi, altro componente del club KTM 1190. Passano due ore, ma lui ancora non si vede; allora chiedo ad un ragazzo la cortesia di farmi collegare ad internet, tramite cui recupero il suo numero. 10 minuti e finalmente Hidetoshi arriva, in sella alla sua moto. Ci dirigiamo subito a casa sua, poi via di corsa ad acquistare un nuovo PC, appena in tempo prima che il negozio chiuda, e poi cena a base dell’immancabile sushi.

9 LUGLIO

Giornata di riposo con Hidetoshi, che mi programma il PC in un misto tra italiano e giapponese, che a volte mi richiede di cambiare lingua per fare alcune cose. Pomeriggio giro in moto con un tramonto notevole, poi a casa.

10 LUGLIO

Al mattino carico tutto e partiamo in direzione nord con Hideotoshi ed un suo amico. Per strada incontriamo un motociclista in sella ad un mezzo che ulula come un lupo; lì per lì non capisco, ma poi quando parcheggiamo riconosco la Honda 4 cilindri 250 cc del 1995, roba da 50 cavalli a 18.000 giri. Si pranza insieme, poi proseguo con Hideotoshi e gli ultimi 180 km li faccio da solo. Quando giungo a Wakkanai fa freddo; le scritte dei segnali sono bilingue, giapponese e russo. L’isola di Sachalin, infatti, non è molto distante.

11 LUGLIO

Mi sveglio presto, la giornata sarà lunga ed interessante. Uscendo da Wakkanai mi becco un bello shampoo dalla polizia; andavo a 65 all’ora e qui il limite è 50. Mi salvo facendo il tonto, parlo in italiano e faccio finta di non capire. Alla fine mi lasciano andare, ma....occhio!

Saya Misaki è la punta estrema del nord del Giappone. Battuta dal vento, è la meta di molti turisti, che vogliono immortalarsi con il monumento che ne evoca il luogo: una sorta di Capo Nord giapponese.

Scendo a sud e mi infilo tra le montagne, dove trovo paesaggi incontaminati e grande ordine. Non mi aspettavo un Giappone cosi. La sera dormo ad Abashiri, famosa per il carcere, l’Alcatraz giapponese.

12 LUGLIO

Una giornata di sole (dopo la pioggia dei primi giorni, ci voleva) mi accompagna verso Siretoko, il parco nazionale famoso per la fauna e le sue cascate. Questo è un altro Giappone: le strade sono delle normali vie di comunicazione, lontane parenti di quelle del sud. Dormo a Shibestu.

13 LUGLIO

Costeggio il Nemuro Wan, una baia bellissima, paradiso di volatili. Tutte le persone che incontro sono munite di binocolo; credo che i giapponesi siano in assoluto il popolo più rispettoso al mondo dell’ambiente e, allo stesso tempo, amante del proprio habitat.

14-15 LUGLIO

Stanco, faccio tappa a metà strada,  prima di tornare a Sapporo, dove Hidetoshi mi ospita di nuovo e dove lo saluto per darci appuntamento in Italia. Punto a sud per Oma, becco il traghetto giusto in tempo, ma ad Oma trovo tutti gli alberghi pieni, così non mi resta che proseguire; le scritte accanto agli edifici non aiutano, ma l’esperienza sì: trovo una costruzione che ha la parvenza di un hotel, mi fermo e per fortuna non ci ho indovinato.

16 LUGLIO

Continuo a scendere a sud e visito il lago Tawada, incastonato tra le montagne; poi torna a scendere la pioggia e vado a cercarmi un hotel a Morioka. “Do you have reservation?” “No,” “Full!” Questa scena si ripete una, due, tre, quattro e cinque volte… Alla fine salgo in moto e riparto verso sud; prima di Sendai noto degli alberghi ad ore. Qui se non hai casa, che costa cara, vivi in famiglia, quindi normale trovare un rimedio. Entro in stanza e sprofondo nel letto.

17 LUGLIO

Quando mi sveglio sono quasi le 10, il tempo massimo per rimanere in hotel. Trasbordo tutto fuori in fretta e furia, infilo l’antipioggia e proseguo per il sud. Supero Tokyo e mi fermo alla stazione ferroviaria di Machida, dove ho appuntamento con Momuro. Anche qui, come qualche giorno fa con Hidetoshi, sono costretto a farmi prestare il telefono (il mio non funziona in Giappone) da due ragazzi per chiamarlo; e anche stavolta, come con Hidetoshi, Momuro arriva dopo 10 minuti.

Chiedo un hotel, Momuro ci pensa su un po’ e poi mi invita a dormire a casa sua. Arriviamo e trovo una casa modesta, con la mamma di Momuro che mi accoglie come un figlio.

18 LUGLIO

Passo tutta la giornata a cercare di prenotare online il traghetto con cui lascerò il Giappone tra qualche giorno, ma non c’è verso: ad un certo punto, infatti, la procedura di pagamento prevede l’invio di un SMS con un codice, ma io ho il telefono bloccato e non posso fare nulla. Per fortuna risolvo chiamando direttamente la compagnia; mi risponde Tatiana, che di giapponese non ha nulla, ma parla bene inglese e mi spiega che posso anche pagare cash al porto, purché spedisca in anticipo tutti i documenti.

Alla sera rientra Momuro, che mi mette a disposizione stampante con scanner e fax: quando si dice funzionalità…

Espletate queste pratiche, andiamo ad una SPA dove si fa il bagno tutti insieme: uomini da una parte donne da un’altra, con piscine riscaldate a 41 gradi. Mi mancava!

19 LUGLIO

Carichi per stare via tre giorni, saluto la mamma di Momuro con una foto ricordo e poi partiamo verso il il monte Fuji, dove abbiamo appuntamento con alcuni amici, uno dei quali l’avevo già conosciuto nei primi giorni a Tokyo. Sotto al monte simbolo del Giappone, ci immortaliamo in una foto con le bandiere giapponese ed italiana.

La sera recuperiamo un altro amico di Moruro e poi proseguiamo per il monte Shiaran San, dove ci aspetta Okamoto insieme ai sui amici. Dopo cena mi invitano ad andare da un’altra parte, ma io sono stanco e non ho molta voglia; loro, però, sono insistenti ed alla fine non posso fare altro che accettare. Il motivo di tanto coinvolgimento si rivela essere una bellissima sorpresa: gli amici giapponesi mi hanno regalato un piccolo barbecue con serigrafato il logo del mio viaggio. Che serata! Devo stare al gioco e al sakè!

20 LUGLIO

Montagne, stradine che si inerpicano su per le montagne, per poi scendere in discesa a capo fitto. Ci fermiamo a pranzo e noto che si avvicina un gruppetto di curiosi. Fa notizia quest’italiano in moto che ha raggiunto il Giappone per tornare in Italia: ogni volta che si parcheggia è un racconto.

Visitiamo il castello Samurai più antico del Giappone, il Gujo Hachiman, e, dopo aver cenato insieme, le nostre strade si dividono. La cosa che ancora una volta noto è che tutto viene lasciato sulla moto, dal casco, al navigatore, alla giacca, tanto nessuno toccherà nulla. Al ristorante, invece, faccio una scoperta bellissima: la donna incaricata di fare il conto usa l’abaco. Nel paese dell’elettronica, dove anche gli ottantenni navigano con il telefonino, vedere una signora che fa i conti col pallottoliere è una finezza assoluta.

21 LUGLIO

Nara mi accoglie con i tanti cerbiatti in strada. Sono il soggetto di ogni foto, ma lo è anche il Buddha custodito nel tempio Todai Ji, meta, oltre che di turisti, anche di fedeli.

Lascio il tempio per recarmi all’appuntamento con Tezukuri Motomo; anche stavolta devo ripetere la procedura già usata con Hidetoshi e Momuro, cioè farmi prestare il telefono da una persona del posto e chiamare. A casa di Motomo sono accolto con tutti gli onori, lui ha addirittura preso due giorni di ferie per dedicarsi a me. Un’ospitalità ed uno spirito di accoglienza che qui in Italia abbiamo perso.

22 LUGLIO

Piove forte e quindi con Motomo decidiamo di lasciare parcheggiate le moto: andiamo a Kyoto con l’auto. Rokuon-Ji, il tempio del padiglione d’oro, il santuario di Shimogamo, Daigo-Ji, sono tra i templi più ammirati di questa citta. In città si celebra una festa nazionale e quindi ho la possibilità di ammirare uomini e donne vestiti in kimono; i giapponesi sono molto attaccati alle loro tradizioni e non esitano a mostrarle.

A cena con la famiglia di Motomo si parla del più e del meno. Ovviamente, il protagonista dei discorsi sono sempre io: mi fanno un sacco di domande, sono pieni di curiosità, vogliono sapere tante cose di me, e soprattutto dei miei viaggi in moto.

23 LUGLIO

Oggi si va in moto anche se continua a piovere. La meta è il castello di Himeji, a volte conosciuto col nome di Hakurojō o Shirasagijō, cioè airone bianco, a causa del suo aspetto esteriore di un colore bianco brillante. È un castello imponente, costruito a scopo militare, dove ci sono anche alcune stanze dedicate al Harakiri.

24 LUGLIO

Mi resta circa un giorno e mezzo di permanenza in Giappone, per cui mi avvicino a Sakaiminato, da dove salperò per Vladivostock. Nel pomeriggio mi reco negli uffici del porto per capire come affrontare certi aspetti burocratici, tipo l’ingresso della moto in Russia, dove il carnet utilizzato in Giappone non ha nessun significato. Tatiana, la ragazza che mi aveva aiutato a prenotare il biglietto per telefono, propone un’agenzia… Ho capito, con 130 euro passa la paura, ma la moto dovrà restare in dogana per due giorni. Paese che vai, dogana che trovi!

25 LUGLIO

Lascio il Giappone con un ricordo indelebile: non immaginavo di ricevere un’accoglienza così calda e di conoscere persone così disponibili. Al porto incontro Martin e Jeremy, due viaggiatori come me: chi torna dall’Australia, chi da un go come back, condividiamo storie di uomini in sella alle loro moto. Ritrovarsi in un’altra parte del mondo e scambiare esperienze è una delle cose più affascinanti dei viaggi.

Un saluto dal Giappone, ci si risente da Vladivostock.

Ad ognuno la sua.jpgCastello di Hemej.jpgFuji.jpgGhesha.jpgIl grande Buddha di Nara.jpgIl regalo degli amici con il logo del viaggio.jpgil simbolo del Tsunami.jpgIsoal di Jogashima .jpgKyoto.jpgMatrimonio tradizionale giapponese.jpgMomento di relax ad una SPA.jpgMonte Fuji2.jpgMonte Fuji connubio Japan Italy.JPGon Momuro e i suoi amici.jpgProduzione di noccile.jpgRitorno al futuro.jpgSoya Misaki il piu a nord del Giappone.jpgun foto ricordo in onere del biker italiano.jpgVuoi la benzina .jpg

  • Biografia
    Biografia

    GP e quelle Due Ruote nel DNA

    La moto è nel DNA di famiglia. Mio nonno andava in moto, mio padre negli anni 50 faceva le gincane e, ad essere sincero, le vinceva. Io non potevo che ereditare questa passione.

  • Il Mondo Su Due Ruote
    Il Mondo Su Due Ruote

    Una vita in moto. E in due libri.

    Dopo 30 anni di viaggi in moto ho battuto le strade ed i sentieri di gran parte del mondo, ma ogni volta che approdo in una nuova terra lontana, il mondo, con le sue meraviglie, mi lascia ancora a bocca aperta...

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