Orient Extreme 2013
L’INDIA CHE NON TI ASPETTI
India dopo 15 anni mi ritrovo dove mi ero arenato allora, il Carnet de Passage, non mi si dice che non e’ originale come allora, ma che vogliono una dichiarazione del Automobil club India che attesta che è coperto da garanzia, non cambia nulla se non il modo piu’ elegante.
In motorino a fare spola tra la dogana e l’Upper, l’ Aci indiana, sono ricevuto anche dal presidente che dice di non pagare nulla, sfondi una porta aperta, ma siccome non credo che avrò fortuna con una sua dichiarazione chiamo ACI delegazione nazionale a Roma l’addetta, la Sig.ra Grillo mi viene incontro e replica ad una mail confermando la garanzia.
Piove e sotto gli sguardi increduli degli indiani tolgo la copertura alla cassa, osservano stupidi questo matto che tirando fuori 4 chiavi e poco altro rimonta la moto, il top quando tiro fuori il compressore elettrico, in aereo le ruote vanno sgonfiate, poi giro la chiave e allora quanti CC, quanto costa, uno di loro un giovane fa KTM in India abbiamo la Duke 200, ammazza se è informato.
In albergo preparo tutto non voglio perdere ulteriore tempo, di mattina presto, prima che tutti si riversino in strada punto verso Agra, devo dire che mi ricordavo un’altra India strade parlando, ora sono anche a 4 corsie, cosa non trovo cambiato il modo di guidare di questo popolo, non hanno il senso della misura te li trovi anche contromano, chi eccelle su tutto il clacson, veramente l’unico deterrente.
Dici Agra e non puoi che dire Taj Mahal il simbolo dell’India nel mondo, internet mi aiuta e così il giorno prima ho prenotato a 2 passi dalla porta sud alla modica cifra di 12 € garage compreso, sono arrivato presto e ho modo di entrare domani venerdì è chiuso essendo annesso alla moschea, la cosa che mi stupisce è che l’India dal punto di vista religioso da l’idea di aver messo tutti d’accordo, questa è la mia riflessione.
Una foto al Forte e via si torna verso Delhi, la supero, ma che fatica, mi fermo per respirare e allora si che viene il bello la kappona non lascia indifferenti nemmeno gli anziani, vogliono sapere e quando gli dico il costo inizia una un esercizio di calcolo non da poco.
Andando verso nord si sale di altitudine, puntualmente piove fino a Shimla dove ha inizio un percorso per delle valli incontaminate, una parte del Tibet che gli indiani stanno promuovendo turisticamente, ho idea, avendo visitato la Cina, che gli indiani hanno visto lungo, se i cinesi hanno voluto cambiare i connotati al Tibet qui tutto sa di antico di una cultura radicata, dormo a Sarahan, da qui inizia un itinerario attraverso i Gompa buddhista, per me un itinerario stradale che più vado avanti più sa di off.
Ho sempre affermato che i cinesi hanno preso il Tibet non per un fattore di religione, ma per altro, a mio avviso per l’acqua, qui i fiumi sono prorompenti, non può essere differentemente la catena himalayana annovera le vette più alte del mondo, le vallate sono tutto un cantiere in corso d’opera, migliaia di mw di energia sottratti alla forza delle acque, motociclisticamente parlando è tutto un off, a tratti è dura per me la moto ha la sua stazza, nulla a che vedere con i tanti occidentali in sella alle Enfield, anche perché non mi ricordo mai quanti anni ho.
La strada è interrotta per una frana, ci vorrà tutta una nottata per riattivare la viabilità, dormo a Reckeng Peo dove prendo anche il permesso per visitare la vallata, una sorta di biglietto stradale.
Sveglia di buon mattino, si va per una strada alternativa e subito mi rendo conto che sarà dura per me, la strada se così si può chiamare non è altro che un sentiero, dove si passa uno alla volta, sono tutti qua vista l’interruzione a fondo valle, tribolo è uno stop and go, tra chi si ferma e non riesce a ripartire e allora vedi quello che scende e mette una masso sotto una ruota, poi prima a tutto gas e vedi salire questi veicoli a passo d’uomo per fortuna che si rendono conto che ho 2 ruote e mi fanno passare, dopo 2 ore e mezza ho percorso 30 km, che media.
Ripresa la main road come la chiamano qui, proseguo tra guadi e fondo sconnesso, per fortuna la dotazione della kappa aiuta e non poco, mi avvicino al confine cinese 15 km mi separano decido sosto a Nako, la vicinanza ad un Gompa buddista ha fatto si che il luogo si sta sviluppando a velocità della luce, incredibile c’è un caffè internet addirittura con win 8 magie della tecnologia, anche se poi ti guardi intorno e noto una vita primordiale, alle 21 tutti a nanna.
Oggi ho intenzione di fare km alle 7 sono in strada, dopo 7 km lo sconforto, un mezzo si è piantato in uno dei tanti fiumi che si creano con l’acqua che scende dai ghiacciai, prendo le misure non ci passo, peccato anche perché con l’andare dell’orologio il livello aumenta per il calore del sole che scioglie il giaccio. Passano 4 ore e si va, ci sono altri con le Enfield, mi dicono se passi tu passiamo anche noi, ok ad un patto mi fate da supporto in acqua altrimenti non se ne parla entro tasto il fondo ho l’acqua ai ginocchi, o la va o la spacca giù gas e vai sono d’altra parte, ora mi viene da ridere tocca a me bagnarmi ma lo sono già.
Saluto e proseguo è un andare oltre i 4000 per poi scendere ai 3000 mt dormo a Kaza 4° km prima mi sono arenato un mezzo metro di fanghiglia per una frana, poi l’arrivo di una ruspa, devo dire tempestiva, e l’aiuto dei locali mi tiro fuori dall’impaccio, lo spirito di solidarietà on the road è encomiabile, d’altronde tutti vivono la stessa difficoltà.
Kaza ha un gompa bellissimo e un market dotato di tutto, cambio soldi e faccio benzina, il ragazzo mi invita a tornare al mattino sta travasando la benza dall’autobotti.
Dormo davanti al gompa al Kay Cee lodge Guest House, Bamaic il proprietario è un tipo simpaticissimo, non c’è energia mi porta 2 candele in camera, ha necessità di altro? Telefonare ho una sim di altra compagnia Airtel ma not work e allora prende il telefono toglie la sua sim BNTL e me la da, chiama poi se vuoi me la ricarichi, ci mancherebbe.
Condivido la tavola con ragazzi israeliani, faccio un salto a piedi in paese per ricaricare sim, il silenzio della vallata è interrotto dai tanti generatori in funzione, vado a nanna.
Bamic mi sveglia hanno portato la benzina 25 lt riempio tutto, il mio motto per viaggiare è denaro, benzina e acqua è sempre valido, saluto e via verso il fondo valle, in lontananza un altro monastero, passo da motociclista al fotoreporter, ancora sentieri, sto vivendo sensazioni fuori dal comune, strade scavate nella roccia, poi la pianura coltivata a frumenti, c’è un gruppo di donne in sosta colazione, mi fermo mi offrono the con latte e una specie di biscotti, l’accoglienza è superba, la loro dignità altrettanto, ringrazio e saluto.
Controllo dei militari, nella baracca c’è un tizio che comunica con il telegrafo è bello sentire e vedere in simbiosi punti linee e il classico rumore di questo strumento primordiale delle telecomunicazioni. La mia testa annota tutto fotografa, mette insieme odori scene di quotidiano che incontro per strada, si la strada gioia e dolori di chi la percorre, incontro un ragazzo di Milano in mountain bike, su primo si parla in inglese poi giù risate, mi dice più avanti c’è un camion in bilico verso lo strapiombo, pochi km e sono lì, impressionante ho i brividi anche perché a volte sono io con la moto a fiancheggiare lo strapiombo, la foto rende l’idea, proseguo a fondo valle a Bata sosto mi faccio due uova e del naan un specie di piadina locale, dopo un 15 km mi ritrovo davanti un fiume, che faccio vado o non vado una volta dentro non ho alternative, arrivano jeep con turisti gli autisti scendono mi dicono vai se mai ti diamo una mano, vado do gas e la moto mi si spegne, metto giù i piedi nulla non ci arrivo lascio la moto che si sdraia sulla sinistra, fortuna le borse a fare da spessore, tutti a darmi una mano moto dritta metto in moto e aspetto che la centralina si renda conto dell’altitudine prima di portare la carburazione al top, prima mi ha fregato ora no giù prima e gas aperto, alla Ciro de Petri, quando sei in difficoltà apri, mi ritrovo fuori, saluto e vado c’è chi applaude c’è chi ha il pollice verso l’alto, prima di giungere a Keylong supero altri 3 guadi sempre a manetta, i video rendono l’idea.
Sono stanco una doccia ceno con mezzo pollo al curry poi a letto domani sarà una giornata over the top.
Parto alla chetichella non so il perché ma mi va così, dopo la vallata la strada che da Manali porta a Leh è un susseguirsi di tornanti, l’asfalto è al top e allora scateno la cavalleria della kappona, l’altitudine si fa sentire, da quando sono partito ho messo la configurazione a bassi ottani, non si sa mai, meglio qualche cavallo in meno che danneggiare il motore, unita all’altitudine non sono al top come potenza ma è normale. A volte mi ritrovo solo sosto le riflessioni sono spontanee, io e il mondo, umane sono le riflessioni se per caso mi accadesse qualcosa, sono lontano da tutto, senza possibilità di comunicare, io e la moto, poi la riflessione si interrompe per l’arrivo di qualche jeep o camion, giro la chiave e riparto, a Sarchu 4253 mt, attendo il passaggio di una colonna di militari, è forte il dispiegamento di truppe, ma nulla a che vedere con quello che troverò in Kashmir.
Supero il passo BaralachaPass (4890m) poi il Tanglang La Passa 5328 non è il più alto altri ne verranno, scruto da lontano la strada che sale a zig, zac un camion in lontananza da l’idea dell’enorme lavoro fatto per rendere carrozzabile la land.
Ho necessità di benzina a fondo valle ci sono delle tende, parcheggio e come un aquila scruto se ci sono latte in giro, loro i locali hanno un veicolo e allora hanno anche benza, detto e fatto 15 lt al doppio del prezzo corrente, ho mangio questa minestra o salto la finestra, insomma non ho alternativa.
Proseguo su un fondo dissestato, incontro un ragazzo russo in bici , ora ho un canyon davanti a me, prorompente è il fiume a fondo valle, sosto quando mi si avvicina Pongo, così lo battezzo con il nome del mio cane, 4 coccole ed è subito feeling, risalgo e dallo specchietto noto che mi segue, dopo un po sosto di nuovo per scattare una foto e allora mi accorgo che Pongo a gran galoppo mi viene incontro, ho dei biscotti come scorta tanta dedizione va premiata e allora gli concedo il pacchetto mi guarda l’accarezzo lo vorrei caricare sulla moto, che riflessioni da folle, saluto e vado Leh mi aspetta gli ultimi 90 km sono tutto asfalto, come non scattare una foto al passo il secondo più carrozzabile del mondo, poi giù a capofitto una infinità di tornati, poi la vallata con monasteri buddhisti sparsi qua e là, ultimo check point militare 25 km e sono a Leh, sono più di 12 ore che sono in viaggio, di solito le agenzie che hanno come rent le Enfield mettono in conto 3gg ma io viaggio con KTM e questo mi permette di osare, l’esperienza aiuta ma è il binomio che funziona, tra i tanti alberghi scelgo il Grand Himalaya sarà una scelta azzeccata, personale disponibile, pulito ed ogni evenienza diventa una realtà acquisita il Proprietario mi fa fare il prezzo, affare fatto doccia e 2 passi al centro. Lhe, capitale del Ladhak, il Tibet indiano, il regno buddista per secoli, la città è un brulicare di turisti, agenzie ovunque, la realtà è che solo dai primi di giugno a fine ottobre è raggiungibile via terra e con molte difficoltà, poi l’impeto delle montagne himalayane la isola dal mondo, parcheggio nella via principale e la moto diventa l’attrattiva, conciata così è una mosca bianca il confronto è con le Enfield, che gli stranieri affittano onde evitare costi e burocrazia come ha fatto il sottoscritto.
All’hotel Grande Himalaya pianifico con l’aiuto del personale l’escursione al Pangong Tso lake e nella Nubra valley, due realtà diverse nei paesaggi ma anche perchè uno fa da confini con la Cina e l’l’altra con il Pakistan.
Per il momento parcheggio la moto e faccio il turista. Percorrendo viuzze che si incastrano tra le tante abitazioni del quartiere islamico, raggiungo il forte, fino allo scorso secolo residenza dei Signori del ladra, i quali furono privati del potere. Dalla sommità di questo si ha una veduta mozzafiato una vallata con montagne innevate sullo sfondo meta di appassionati di trekking.
Il silenzio contempla la veduta anche se il rombo dell’aereo, per un attimo, infrange la quiete, Leh è collegata a Delhi con due voli giornalieri, che a volte ritardano o addirittura vengo soppressi per le condizioni climatiche.
E’ giunta l’ora di partire, sempre con la cartina sotto agli occhi ridiscendo la valle che ho percorso salendo da Leh, a Kuru svolto a sinistra per Pangong Tso, ho tutto con me in primis benzina, so che sarà dura anche perché ho deciso di fare il tutto in un giorno.
Lasciato l’asfalto ritrovo l’impervio off dei giorni precedenti, la strada arranca a zic zag sul costone della montagna, la grande differenza con le strade delle Ande è questa, là tutti altopiani qui no, quando giungo al Chang La Pass il secondo più alto, 5380 mt, carrozzabile, mi piace questa parola, del mondo, incontro tanti riders indiani e allora le stesse domande, cilindrata, costo e velocità della moto, apriti mondo.
Un the caldo e via verso la meta, la vallata è un contrasto di verde e colori delle rocce che a tratti cambiano tonalità, qua e là pascoli di yak, la popolazione e di chiare origini tibetani, in tanti fuggiti dal Tibet dopo l’occupazione cinese del 1959.
Il cielo è plumbeo da li a poco una tempesta di vento e sabbia oscurerà il Lago, scatto foto, poi arrivano i riders indiani ora piove che film, riparati sotto i tanti ristoranti aspettiamo, noi motociclisti, che torni la calma, ne approfitto per indossare l’antipioggia, scelta saggia, piove quando arrivo al passo grandine mista a pioggia che mi accompagnerà fino a Leh, sono stanco ma nulla a che vedere con le tante emozioni vissute dentro, Sono come un hard disk, immagazzino e poi mi vado a rivedere i tanti file, vita quotidiana, persone, visi e paesaggi, adrenalina a mille.
Nel dormi veglia del mattino non sento il rombo degli aerei, scosto la tenda e in effetti il cielo è coperto, rimando la partenza per la Nubra valley, ne approfitto per fare shopping ai tanti mercatini dei rifugiati tibetani, anche se a mio parere, sa oramai di slogan del tipo Tibet Free, che si legge ovunque, ai cinesi non piacerà.
Lascio l’albergo alle spalle e salgo verso il Khardung La Pass il più alto carrozzabile del mondo 5602 mt, a 7 km dalla cima c’è un controllo dove esibire i permessi per visitare la Nubra valley, altri 2 km tutti fermi, è venuta giù la parete della montagna, che si fa? La fantasia, ma dico la realtà che queste popolazioni vivono quotidianamente aguzza l’ingegno, in 2 o 3 persone prendono dei massi e rompono la parte esterna di quella grande che ostruisce il passaggio, funziona e come, ci avvantaggiamo noi motociclisti la stazza e inferiore e allora via la top della strada, nevica, la foto sotto il cartello è d’obbligo unito ad un the caldo, il termometro segna -16 fahrenheit tradotto in Celsius – 9 insomma si sta freschi.
Il tempo è inclemente neve, grandine e pioggia, la strada è quello che è per me con questa stazza è dura ma la componentistica aiuta e così sfilo via i riders indiani poi a fondo valle tutto cambia, la temperatura è salita, nel primo pomeriggi arrivo a Diskit, un piccolo villaggio dominato dall’alto da un monastero buddista e una statua di 30 mt del Buddha incompiuta, sosto all’hotel Sand Dune. Ora qualcuno obbietterà che sono a 4000 mt e che cosa c’entrano sabbia e dune, semplice 12 km più avanti ad Hunder ci sono dune di sabbia, e chi mi regge mi dico. Al mattino con la moto scarica arrivo alle dune, ci sono turisti, ad un ragazzo tedesco gli metto in mano la fotocamera e gli dico scatta più foto che puoi, io vado a farmi una cavalcata che goduria.
Torno a Diskit, ho benzina ma vorrei fare il pieno sono le 10 del mattino e tutti che aspettano il benzinaio, nemmeno l’ombra, decido torno in albergo, carico tutto e prendo la strada per Leh, pensavo che le emozioni erano finite ma in prossimità del Khardug La, tutto cambia rapidamente, nevica di nuovo che bello, in agosto beccare la neve, quando mi accadrà di nuovo?
Solite foto e riprese, questa volta pranzo a noddles, poi lesto lesto, non vorrei andarmene, scendo verso la vallata, incontro italiani in giro con moto indiane, sono restii a salire perchè gli hanno detto che nevica, cavolo hanno jeep al seguito e tutto quello che gli occorre, vorrei scatenarmi ma chi me lo fa fare. L’incontrerò il giorno dopo a Leh non sono saliti al passo…….cavolo che moto baristi.
All’hotel mi guardano stupiti sporco io? Perché non hai visto la moto, uno di loro vuole lavarla, che non sia fatto, pensa un’altra cosa questa no, chissà che ne pensa lei la kappona.
E’ ora di partire per il Kashmir, fatta colazione lascio Leh, ma prima faccio rifornimento all’unico distributore alla rotonda fuori città, dove tutte le strade hanno inizio per le diverse direzioni, la mia va a valle verso l’aeroporto, ciao Leh non dimenticherò questa settimana intensa, mi sembra di aver vissuto il doppio del tempo, riflessioni da uomo libero a cavallo della libertà.
La strada verso il Kashmir è come un biliardo macino km su km, l’habitat è cambiato la morfologia è qualcosa di diverso rispetto al Ladhak, vallate che si perdono all’orizzonte, le persone vivono in tende i caratteri somatici delle sono diversi, da questi parti si è combattuta la guerra più alta del mondo, India e Pakistan a contendersi questa lembo di terra, la presenza militare è opprimente, controlli su controlli, poi finalmente il lontananza Kargil, la mosche spicca sulla abitazione altro mondo.
All’indomani quando giungo a Sgrinagar trovo una città militarizzata, al confine sono stati uccisi dei militari indiani, cerco di vivermi la vacanza, la città è famosa per il lago Dal e le sue case galleggianti, oggi alberghi, un tempo residenza dei britannici, a cui era proibito possedere un abitazione sulla terra ferma. Sono due giorni di relax, per pura fortuna conosco Mr. Nasir Shah, presidente degli albergatori del Kashmir, che puntualmente mi organizza delle interviste con quotidiani, un giorno di gloria in terra indiana. Dopo Sgrinagar la mia meta è Amristar la città dei credenti Sikh, dove il Golden Temple è l’emblema di questa religione una via di mezzo tra induismo ed islam.
E’ un via vai di persone, tutte le religioni sono ben accette, il rispetto del luogo è l’unica cosa che si chiede all’ospite un’esperienza unica. E’ tempo di ripartire, giunto a New Delhi ho il tempo di parcheggiare la moto, il Pakistan mi ha revocato il visto dopo l’uccisione di otto turisti, incrocio le dite, gioco d’azzardo, torno in Italia con la speranza di ottenere il visto e poi tornare in altro momento.
UN MESE DOPO...
E’ passato un mese da quando ho parcheggiato la moto a Delhi, ma ancora una volta il Pakistan mi nega il visto, questa volta la scusa non è l’incolumità, ma che non ho l’invito originale, guarda caso quello di 2 mesi prima era valido, ho capito una volta in India deciderò la strategia.
SI torn a in India dopo un giorno di volo mi ritrovo proiettato di nuovo a Delhi..
Puntualmente chiamo Rajiv che ha in custodia la moto, appuntamento alle una nel suo ufficio.
Una spolverata giro la chiave ci siamo, si riparte, faccio rifornimento e controllo la pressione delle gomme, ma ho un altro lavorino da fare, sostituire i dischi della frizione, ben cotti nella prima parte del viaggio, specialmente nella bolgia dantesca della capitale indiana.
Di fronte all’hotel apro la corsia box, un telo di plastica sotto il motore per recuperare l’olio, inizio a smontare il coperchio della campana, coloro che passano sostano, guardano e fanno commenti, tra un disco di metallo e uno con riporto eseguo il cambio, rabbocco l’olio mancante e provo la bomberina, sono a contromano ma tanto non ci fa caso nessuno, anche la polizia lo fa.
Dopo un debito riposo faccio un salto in città devo sostituire lo schermo del laptop rotto in precedenza, lo pagherò 28 € contro più del doppio che in Italia strategie di mercato.
Sveglia alle 6 carico la moto e dopo una bella colazione prendo a sud verso Jaipur.
L’habitat è cambiato sono in Rajastan, incontro i primi cammelli che vengono usati come traino di carretti, questa volta non è l’asino il protagonista, faccio una curva e mi trovo davanti ad un elefante con tanto di cesta in groppa per portare i turisti, sono in prossimità del Amber Fort, salgo per la strada a zig zag, dall’alto appare Udaipur e il lago Mansagar dove fa bella figura il palazzo Jal Mahal.
Dall’ Amber Fort mi godo il panorama, incontro un gruppo di ragazzi che mi fanno mille domande, sono motociclisticamente informati, mi accompagnano fino al lago scatto 2 foto e via in città.
L’Hotel H.R Palace è dislocato oltre il centro, supero il Palazzo dei Venti, di un rosa affascinante, non per niente Jaipur è considerata la Pink City.
Al semaforo mi si avvicina un biker, mi chiede dove vado, lui senza esitare mi dice seguimi, ci sarei arrivato all’hotel ma avrei tribolato.
Il ragazzo si presenta sono Dhawal, ricompensare con un grazie mi sembra poco così l’invito la sera a cena.
Seduti intorno ad una pizza, mi racconta dei sui studi di ingegneria dediti all’aereodinamica delle vetture, non sono perplesso, il mondo sta cambiando velocemente, quando mi mostra dei prototipi, foto, dal suo cellulare rimango attonito, la Ferrari e la Maserati sono la base degli studi da li nascono progetti realizzati per vetture da produrre per la massa, naturalmente in India.
Al mattino faccio un salto al palazzo dei Venti, bello davanti ma niente di che sul retro, sembra una di quelle scenografie da film western.
Si va a sud prossima meta Udaipur, fa caldo, ora viaggiare è più complicato tanti veicoli per strada, non ricordavo che ero in India. L’Anjani Hotel è accogliente ma lo è la città.
Saranno 2 giorni pieni, non ho scampo, devo tornare a Delhi ed organizzare il volo per la moto e il sottoscritto, non ho alternative vista la chiusura del Pakistan.
Udaipur incarna uno spaccato di India dove i Maharana davano libero sfogo alla creatività costruendo palazzi dal fascino unico, il City Palace domina il lago Pichola, un palazzo costruito in più fasi e con progetti diversi ma maniacalmente nulla è stato lasciato al caso e tutto il complesso da l’idea di un armonia unica.
Passeggiare per le vie di Udaipur fa respirare un atmosfera unica, personaggi che riportano ad un India mistica, in questo contesto il palazzo Jagadish Mandir è il fulcro della vita spirituale della città. Costruito da Maharana Jagat Singh I nel 1651, il tempio costudisce una pietra di Lardo Vishnu. C'è un'immagine di ottone di Garuda il simbolo dell’ uccello Signore. L'esterno e lo zoccolo dell’edificio sono coperti con bassorilievo di alligatori, elefanti, cavalieri e musici celesti .
E’ ora di riprendere la strada per Delhi il tempo è tiranno, l’esperienza mi dice che sarà tutta un avventura far arrivare la moto in Iran. Nella sede dell’agenzia di Rajiv approntiamo una cassa mettendo insieme due pallets, mi viene da ridere perché in nessuna parte del mondo è possibile usare legno non fumigato. E’ tarda sera quando lascio Rajiv, la moto è pronta ad essere spedita.
Un giornata campale mi aspetta in dogana, come quando sono arrivato è un fare e rifare Penelope e la sua tela mi fanno un baffo, finalmente alle 21 tutto è ok, altro pò chiudo io la dogana.
Nei seguenti 5 giorni accade di tutto, l’idea è quella di spedire la moto a Dubai e da li risalire l’Iran traghettando dagli Emerati, ma la doccia fredda arriva da Tehran, il mio visto non è stato spedito a Roma ma all’ambasciata a Parigi, quindi posso solo prenderlo all’areo porto della capitale, si cambia compagnia, l’amico iraniano Roozbhe contratta il volo con la Mahan, una compagnia iraniana, prontamente contattata non pone problemi solo 3 giorni dopo, all’ennesima richiesta di documentazione, che mi pone, scoprirò che non ha l’autorizzazione a spedire la moto, che è considerata merce pericolosa, come se fosse un carro armato.
Con l’amico Rajiv passiamo al piano inferiore dove c’è l’Emirates, 10 minuti ed è tutto ok, finalmente, ma non è finita, la cassa devi superare il test dei raggi x, non ci deve essere olio, carburante e batteria, che ho smontato onde evitare problemi.
Tutti a visionare lo schermo, non c’è traccia a detta loro, ma all’interno delle borse ho 4 lt di olio oltre a quello nel motore, c’è carburante nei serbatoi, non so cosa sia accaduto tra loro e chi mi gestisce le pratiche, immagino ……….
Sono mattiniero, l’aereo per Tehran fa scalo a Doha Qatar, arrivo alle 11, al controllo mi danno mi la visa ma senza Visa Card non potrei ottenerlo, gioco di parole della serie che ti danno senza soldi? Non divago un mio amico la direbbe alla paesana, soprassiedo per correttezza. Finalmente mi rilasso, qui è giorno di festa faccio due passi al centro, la parte vecchie, un mosaico di negozi e prodotti locali, siamo nella penisola Arabica ma qui l’idea è di tanta laicità, di sicuro un paese emancipato, lo è anche lo sportello della banca, finemente rivestito in legno , poi un salto al Bazar, odori di spezie, colori e tanta atmosfera orientale, finalmente un pò di pace, se guardo indietro vedo nero, ma sono ottimista e penso a domani quando volerò in Iran.
Dall’oblò dell’aereo scruto il mare del golfo persico poi le montagne dell’Iran, sono a casa mi dico dentro di me, si non resta che ritirare la moto, ma prima devo fare il visto che mi viene concesso all’arrivo, c’è una richiesta, prendo i bagagli e dopo il ceck-in trovo Roozbhe e Kiana la segretari ad attendermi, che storia.
Dopo 170 km siamo a casa sua a Qazvin. Roozbhe è un appassionato di moto, di più rivenditore di accessori e vestiario, nel suo negozio è un via vai di bikers iraniani, noto che è un personaggio del mondo delle 2 ruote, in Iran i mezzi che possono circolare non devono superare i 200 cc, poi c’è un mondo che non deve apparire e allora ti ritrovi a che fare con persone che hanno KTM 450, Yamaha e Honda da enduro, certo se l’embargo finisce qui ci sarà un mercato fiorente, riflessioni che mi accompagnano all’indomani quando andiamo in dogana dell’ aereo porto per ritirare la moto, un giorno no basta ma all’indomani riesco a ritirare la moto, mi viene vietato di rimontarla in dogana, affittiamo un pick up e via fuori su un parcheggio. Con due ruote di un camion in terra e la cassa legata ad un gurad rail la sfiliamo dal cassone , tempo un ora e la moto è pronta per partire, saluto Roozbhe, ci si rivede tra 3 giorni e punto a sud.
Supero Qom, poi fa notte, a Kasan faccio rifornimento, controllo la catena e le gomme, un segnale premonitore, fatti 40 km sono al centro delle 3 corsie, il davanti diventa inguidabile, da subito capisco che la gomma mi ha stallonato, la moto mi tira verso il guard rail, cosa che voglio evitare, cerco di riportarla al centro ma evidentemente la gomma si accartoccia di nuovo, il davanti se ne va, cado sul lato desto, le valige mi danno la possibilità di svincolarmi dalla moto, lei avanti che strisce e cozza contro il guard rail, che Iddio fulmini tutti coloro che l’hanno inventato, la seguo strisciando in terra a braccia aperte, un pensiero in questi attimi mi accompagna, chi ho dietro, diventare un frittella non è nell’ordine delle mie idee, poi mi giro su me stesso e vedo che non c’è nessuno come un gatto salto in piedi e sbraccio in mezzo alla strada si fermano tutti, che cu…..concedetemelo.
Dei ragazzi mi aiutano a portare la moto al lato della strada, il cerchio anteriore è piegato, la valigia destra a retto ma un bel pò è rimasto sull’asfalto, anche parte della mia pelle della coscia, ho una ferita ma è il male minore.
Uno di loro mi dice cosa deve fare, sono tutti preoccupati, hanno visto la caduta e sono spaventati, mi chiedono se va tutto bene, ed io, sono vivo questo è importante la pelle crescerà, chiamo Roozbhe, che prontamente mi dice di restare lì, tra un pò arriveranno dei suo amici, gli credo anche se lui è a 500 km di distanza. Una coppia di ragazzi restano lì fino all’arrivo degli altri, c’è un pick up per caricare la moto e un auto, vengo accompagnato ad un pronto soccorso e medicato poi a casa per un pasto, arrivano gli amici è una festa, pensare che 2 ore prima ero sdraiato sull’asfalto ed ora accudito e riverito non fa che confermare ancora una volta quello che dico da anni, l’Iran è un paese stupendo fatto di gente sana e ospitale senza un secondo fine, l’ho scritto anche nel mio libro ma è dura far passare questo concetto da noi.
E’ circa mezzanotte quando arriva il ragazzo con il pick up, la moto è coperta si parte, saluto e ringrazio un giorno torno e mi fermo di nuovo promesso.
Con una pausa di più di un ora per recuperare un pò di sonno, giungiamo alle 7 del mattino a Qazvin, Roozbhe mi aspetta nel suo capannone dove ha il negozio e dove dormo in un appartamento ricavato per i motociclisti che passano da queste parti.
Alle 8 arrivano due suoi amici, uno di loro è un meccanico che ha lavorato in Europa, smontiamo la ruota anteriore, certo vederla così e poi nel pomeriggio rimessa a nuovo fa pensare, in Italia ti avrebbero detto buttare tutto e acquistarne di nuovo, qui no la manualità e la materia prima che non si trova, causa l’embargo, esaltano l’ingegno, questo popolo che di arabo non ha nulla ma è molto occidentale, ha dalla sua la fierezza e una dignità particolare.
Ho fatto installare, oltre la gomma nuova, la camera d’aria non si sa mai, il cerchio ha subito un colpo violento. Nel tardo pomeriggio andiamo di nuovo ad un pronto soccorso medicazione e rifornimento di medicinali, la ferita è profonda ma non mi preoccupa, per precauzione mi danno anche degli antibiotici per l’infezione.
E ora di tirare le file, non ho molti giorni a disposizione, ad occhio e croce mi mancano oltre 3000 km per arrivare ad Igumenitza, Grecia e prendere la nave per l’Italia, da una parte mi dico di puntare verso la Turchia dall’altra rinunciare ad Isfhan e Persepolis, che erano la meta prima della caduta, mi fa venire il magone. La notte porta consiglio, in effetti al mattino decido vado ad Isfhan, è una lotta contro le avversità, non mollo non è nel mio carattere, della serie “non è un grande colui che non cade mai, ma chi cade e si rialza” appunto l’ho fatto e non torno indietro.
Quando entro in città, sono ad Isfahan tutto mi torna nella mente, e pensare che sono venuto 10 anni fa, punto verso Iman Khomeini Square, il centro della città, il cuore la veduta è sempre sbalorditiva affascina, insomma l’occhio ha il suo da fare a metabolizzare, dormo all’Hotel Setare a pochi passi dalla piazza, in Hafez St, Hafez è un poeta iraniano di Shiraz molto amato dal suo popolo, si dice che ogni iraniano abbia un suo libro sul comodino.
La moto resta al parcheggio, mi infilo nelle strette viuzze che portano alla moschea Jame, un luogo di culto ma anche l’esempio concreto di tutti gli stili architettonici islamici che vanno dall’ 11° secolo al 17°, passando per l’epoca mongola, chi ha in mente il Ragiastan di Samarcanda o la madrasa di Bukara noterà affinità.
Quando giungo sulla piazza Iman Khomeini il sole è già alto, si respira aria primaverile, la piazza ospita alcuni degli edifici più maestosi del mondo islamico è un luogo dove si torna volentieri, tanto da essere affascinati e sentirsi un tutt’uno con il mondo che ti circonda, quando più tardi arrivo con la moto la polizia turistica mi concede di entrare nel perimetro che spetta al pubblico, una foto senza recinzione è d’obbligo.
A sud di Isfhan per la strada che porta a Shiraz c’è un'altra opera che attira, specialmente di sera i locali, il ponte Si-o- Se, un luogo ideale per prendere una tazza di The.
Di buon mattino mi lascio alle spalle Isfahan e scendo a sud per Persepoli, l’antica capitale persiana fatta edificare da Dario 1°, il complesso non fu mai terminato ma lo scopo delle sue imponenti mura erano fatte per impressionare i sudditi che ogni anno avevano l’obbligo di portare i tributi, la salita al complesso avveniva attraverso 2 scalinate che portano all’Apadana la più grande delle costruzioni con 72 colonne, di cui ne restano solo 13, fu incendiata e saccheggiata per ordine di Alessandro Magno, un controsenso, lui che optava per un mondo dove tutte le culture dovevano essere rispettate, gli storici concordano che l’ordine fu impartito per vendicare il saccheggio di Atene da parte di Serse 1° avvenuto circa 150 anni prima.
Rientro ad Isfhan di sera, sono stanco causa anche la caduta di 3 giorni prima. Il dolore no c’è ma il timore, quando viaggio intorno ai 130 km/h è sempre presente nella testa, a quella velocità uscirne solo con un graffio è da annoverare tra le giornate fortunate.
Una volta a Qazvin non resta che pianificare il rientro verso l’Italia, sostituisco le pastiglie posteriore del freno, un lungo abbraccio saluto tutti, la promessa è di tornare presto, la sera dopo oltre 700 km dormo a Maku, in arrivo o in uscita dall’Iran, sosto in questo piccolo paesino incastonato tra le montagne a 40 km dalla frontiera.
Durante il tragitto sono stato spettatore di uno spettacolare incidente, un pick up made in Iran è andato fuoristrada, il padre e il bambino illesi ma quanta paura, l’uomo con una ferita al mento l’ho curato con i medicinale che avevo dietro per la mia ferita, tutti mi hanno ringraziato ma non ho fatto altro che ricambiare la loro disponibilità per quanto mi ero accaduto.
In 18 minuti di orologio sbrigo le formalità da parte iraniana, sono le 8,30, i cancelli che dividono i 2 paesi sono chiusi, gli iraniani mi fanno un favore facendomi passare, lo sono anche i turchi ma devo stare ad un condizione che reputo ridicola, vengo condotto in un hangar dove vengono passati ai raggi x i camion anche la moto deve sottostare, la mente mi riporta a Rajiv che a Delhi mi ha detto che l’uso di questo sistema è dovuto alla commessa vinta dai turchi per costruire la nuova dogana, perdo più di un ora saluto e via verso Dogubayazit, con l’Ararat imponente con i suo 5175 mt, la cima è innevata, la temperatura è cambiata, negli ultimi 20 gg sono passato da oltre 30° ai 13 della Turchia, mi copro poi via verso ovest.
È sera quando giungo ad Erzician, dopo aver beccato una contravvenzione per aver superato di 10 km il limite, non pago non ho i 70€ mostro la carta, non so che dicono ma capisco che ad Edirne qualcuno mi aspetta, annuisco tanto da li non passo vado per la Grecia ma non lo dico.
La sera mi sbatacchio un Kebab saporito è dal mattino che non mangio, poi a letto domani altro tappone si va in Cappadocia.
Arrivo di primo pomeriggio ad Urgup faccio un giro tra i pinnacoli erosi dal vento, desto curiosità, quando mi chiedono da dove arrivo, alla risposta India tutti sobbalzano, chissà cosa pensano? Che sono fuori di testa, no per me è normale.
Dormo ad Urgup al Born Hotel una vecchia residenza ottomana, sembra di entrare in un altro mondo tanta è l’originalità del luogo.
La giornata è soleggiata, meglio aiuta l’animo, sempre con l’occhio attento per non beccare multe, risalgo la Turchia, supero Ankara, ma prima di imboccare l’autostrada devo fare il coupon elettronico per il pedaggio, 20 € da sfruttare anche nella prossima volta.
Ore 20, imbocco il ponte sul Bosforo, lascio geograficamente l’Asia ed entro in Europa, non me ne volete se me la tiro, ma il mio GPS celebrale non sbaglia nulla, giungo all’aereo porto Internazionale Ataturk, da lì alla Mosche Blu una passeggiata, stesso Hotel di 5 anni fa Orient prezzo ottimo personale disponibilissimo.
Dopo una doccia tonificante, sono oltre 800 i km percorsi, esco per mangiare un boccone, mi faccio anche un bicchiere di vino io che non lo bevo mai.
Tiro lungo al mattino ma non troppo, Igumenitza è lontana circa 1000 km, la nave parte alle 23,50, faccio frontiera, il poliziotto mi saluta Kalimera, sono a casa, la sera mi imbarco per l’Italia, è il 31 di ottobre quando metto le ruote fuori dalla nave ad Ancona, Bruno motociclista Norvegese su Harley mi segue va a Siena lo farò dormire a Foligno da un amico.
L’epilogo, lunedì 4 novembre, salgo a Milano con me la bomberina lei che non dice mai di no, sono ospite all’ Eicma allo stand della My Tech i segni del viaggio sono indelebile sia per me, ma non si vedono quanto per la moto, quella valigia e le protezione del serbatoio destro, levigati dall’asfalto iraniano, saranno il commento di tanti, un grazie a tutti coloro che hanno creduto in me From India to Italy e lì sotto gli occhi di tutti.
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