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Asian Runways 2015: Report #2

26-27 LUGLIO

Dopo 40 ore di navigazione, con un scalo tecnico di 3 ore in Corea, sono a Vladivostock: una citta moderna, un tempo inaccessibile per gli stranieri ed oggi avamposto commerciale dell’estremo est della Russia, ad oltre 9.000 km da Mosca.

Sono in compagnia di Martin e Thierry, altri due motociclisti. Abbiamo tutti e tre lo stesso problema: sdoganare. Svetlana, che doveva attenderci dopo l’immigrazione, non c’è, è in un’altra uscita; consegno tutta documentazione e do appuntamento a domani, quando di sicuro le moto saranno sdoganate.

L’hotel Aqua de Vida è situato in una buona location, ha pure il parcheggio, ed è a buon prezzo (15 euro). La giornata scorre tra l’acquisto di una scheda SIM locale (Megafon è la compagnia che va alla grande da queste parti) ed una passeggiata, poi a cena tutti insieme e a nanna.

28 LUGLIO

Svetlana puntale di buon mattino ci recupera in albergo e si va in dogana. Gli uffici sono un continuo viavai di impiegati ed io ho qualche problemino con la moto: l’addetta si intoppa sul fatto che la moto che guido non è di mia proprietà; io rispondo che in Giappone non mi hanno fatto storie a riguardo, ma il problema è che il carnet che avevo presentato agli uffici giapponesi in Russia vale come carta straccia. Ad ogni modo la situazione si sistema.

Si mangia un boccone a pranzo, poi ci rechiamo al parcheggio doganale per ritirare le moto. Un’altra ora di pratiche e siamo fuori, per una spesa totale di 150 euro: 125 per importazione moto e il resto per assicurazione e deposito doganale.

All’hotel è tutto un maneggiare coi bagagli. Domani il programma prevede rotta verso nord, a Khabarovsk, la città estrema da dove piegheremo di 90 gradi per Mosca. Una volta sistemato tutto, mi faccio un giro per Vladivostok: palazzi stile Liberty e l’immancabile piazza con statue a ricordare il nazionalismo simbolo della Russia che fu, ma ancora molto in voga.

29 LUGLIO

Si parte. Martin, che ha la moto più piccola, guida il gruppo, Thierry in mezzo ed io a chiudere. Si sale verso nord, su strade ampie, popolate da veicoli sospesi tra passato e futuro; molte auto sono importate dal Giappone, perché il costo è più basso, ma c’è un problema: in Giappone si guida a sinistra (come in Gran Bretagna, per capirsi), mentre in Russia si guida a destra (come in tutta Europa), e così il conducente deve spostarsi verso il centro della strada per avere visuale, rischiando continuamente di fare incidenti.

Essendo l’ultimo del trenino, ogni tanto durante il viaggio mi fermo per scattare foto, poi accelero un po’ e recupero gli altri. Ad un certo punto foro il pneumatico anteriore e sono costretto ad aprire una vera e propria officina di attrezzi per strada: a causare la foratura è stato un gradino stradale preso a piena velocità. Di Martin e Thierry neanche l’ombra, sicuramente non si sono accorti del mio problema; così effettuo la riparazione con l’aiuto di due camionisti, riparto e nel giro di 80 km recupero gli altri. Appena mi ricongiungo al gruppetto notiamo un hotel con ristorante e decidiamo di fermarci a dormire lì.

30 LUGLIO

Durante la notte ha piovuto, così al risveglio l’aria è fresca e questo per me è un sollievo, dato che digerisco male il caldo. La strada attraversa vegetazione a perdita d occhio e si perde su lunghi rettilinei dove viene voglia di aprire il gas a manetta, ma il fondo stradale è un’incognita continua, quindi meglio essere cauti. Si percorrono centinaia di km senza incontrare segnali di vita, poi, immancabile, il distributore di benzina con bar per mettere qualcosa sotto i denti. Il costo del carburante qui è intorno ai 50 cents al litro: non male!

Superata Khabarovsk, ultima città siberiana con connotati metropolitani, la presenza umana si fa sempre più rara: solo piccoli villaggi, dove spicca sempre la presenza di una segheria; d’altronde tutte le costruzioni sono in legno, anche se molte datate. Qui si vive una vita dai ritmi pacati e fatta di poche cose, ma nonostante ciò la gente è cordiale e ospitale; sembra di fare un tuffo nel passato.

Con le moto parcheggiate nella stazione della polizia, dormiamo a Obluckye. Il supermercato di fronte all’hotel è provvisto di tutto: come rinunciare ad una tavoletta di cioccolata Milka?

31 LUGLIO

L’ambientazione del viaggio è la fotocopia del giorno precedente, e lo sarà pure per quello successivo: solo qualche tratto non asfaltato interrompe i centinaia di km rettilinei immersi nella vegetazione, poi i soliti villaggi, dove ogni tanto si devia e si ha l’opportunità di vedere cose di altri tempi. Immancabile è il sidecar, spesso costruito in casa, utilizzato come mezzo di trasporto tutto fare.

A Mancdeghaci si dorme in un motel di recente costruzione. Qui incontro Sasha, che viaggia con una Honda Goldwing gialla, un po’ datata ma sempre affidabile. La moto mi colpisce perché ha montate le trombe da camion.

1 AGOSTO

Colazione, un abbraccio con Sasha e via, si prosegue verso ovest. Durante il viaggio mi rendo conto che questa via di comunicazione è strategica al pari della ferrovia che le corre quasi parallela, la famosa Transiberiana: la maggior parte dei convogli che s’incontrano sono adibiti al trasporto merci, in particolare carbone e petrolio; lungo l’arteria ferroviaria, infatti, sono dislocate numerose centrali energetiche. Col passare dei km passano anche le ore, è quasi notte ed il cielo non promette niente di buono. Il distributore con il ristorante e l’alloggio arriva a puntino: giusto il tempo di parcheggiare che si scatena un nubifragio. Dentro c’è anche una chicca come la sauna, e allora le riflessioni si intrecciano con il vissuto: per chilometri e chilometri il nulla, poi, all’improvviso, ogni ben di Dio. Il bello del viaggiare fuori dal nostro mondo.

2 AGOSTO

Ha piovuto tutta la notte senza cessare, così, prima di ripartire, penso bene d’infilarmi l’antipioggia: decisione saggia, perché fino a Chita non ci sarà un attimo di tregua. Quando arrivo nella piazza centrale quasi rischio la multa: non si può passare di lì ed i poliziotti mi vengono incontro in massa, con fare minaccioso. Mi sento quasi un sovversivo, a malapena riesco a girare la moto e ripartire in fretta e furia.

Chita è una citta borderline. Praticamente per oltre 2.000 km, tolti i piccoli villaggi, si viaggia nel nulla, con distributori così diradati da rasentare ogni volta il limite del serbatoio; poi all’improvviso, come per magia, ci si ritrova davanti ad una città di oltre 300.000 abitanti.

Qui ho un appuntamento con Pavel, un amico di Sambuu, un mio amico mongolo; si sono conosciuti grazie alla passione per la moto ed io, di conseguenza, divento amico degli amici. Pavel ha un passato motociclistico di prim’ordine, ha partecipato anche all’edizione 2007 della Dakar; parla cinque lingue e a volte intreccia l’inglese con lo spagnolo, sapendo che somiglia all’italiano.

Dopo l’incontro, vado in albergo, che non è molto distante. Anche qui c’è la sauna, che cul… fortuna! Mi rilasso, ceno e sprofondo nel letto stanco morto.

3 AGOSTO

Come in Giappone, anche in Russia mi ritrovo a fare i conti con gli apparati elettronici: dopo il PC e l’hard disk, adesso mi abbandona pure il lettore della carta Banco Posta. Fortuna che non sono sprovveduto e rimedio con altre carte, ma rifletto che forse era meglio una volta, quando tutti questi aggeggi non c’erano e ci si arrangiava con altri espedienti. Ripenso a quando nel 2004, in Colombia, viaggiavo con un malloppo di dollari arrotolato sotto al serbatoio; mi sa tanto che al prossimo viaggio si ritorna ai vecchi metodi!

Dietro l’hotel apro di nuovo l’officina volante: devo cambiare l’olio motore ed equilibrare la ruota davanti, e così ruota sul perno, due file di mattoni come appoggio, peso bloccato con il nastro ed il gioco è fatto. Altri motociclisti russi di passaggio in hotel mi osservano come se fossi un marziano; non sanno che una volta si faceva così?

Nonostante abbia già percorso molta strada, l’olio, a guardarlo, sembra ancora in buone condizioni; dal momento che da queste parti non ho trovato olio sintetico che rispettasse la normativa Jaso, decido rinviare la questione a più avanti.

4 AGOSTO

Oggi la meta è Ulan-Ude, altra città da oltre 300.000 abitanti, capitale della Buriazia. Lungo la strada, pittoresche conformazioni rocciose sono lo sfondo ideale per scattare foto; qui i lineamenti delle persone assumono chiaramente la matrice mongola e nel percorso noto anche dei santuari buddhisti. Arrivato in citta, mi ritrovo in un hotel dove su quattro piani ci sono solo due bagni ed una doccia. Per fortuna non c’è ressa…

5 AGOSTO

Lascio i bagagli in albergo e parto per una visita al lago Bajkal, che dista 160 km da Ulan-Ude. Per strada mi fermo a visitare una chiesa ortodossa; chiedo il permesso di scattare foto e, una volta accordato, entro con la macchinetta. A quel punto, però, mi becco una manata in testa dal priore, che, con fare non proprio tranquillo, mi fa capire che non posso fare foto; io rispondo di aver chiesto il permesso e allora lui si calma e si limita ad un richiamo verbale. Finito lo “shampoo”, incredibilmente mi fa cenno di seguirlo, apre la chiesa, mi fa scattare foto e addirittura mi benedice. Non ci capisco nulla, ma quasi quasi vorrei portargli tutti gli attrezzi elettronici che mi si sono rotti durante il viaggio… anche loro avrebbero bisogno di una bella benedizione!

Arrivato al lago Bajkal, ritrovo Martin e Thierry, con cui negli ultimi giorni mi ero tenuto in contatto telefonico, e passiamo la giornata insieme. C’è un bel sole e ci rilassiamo alla grande. In serata rientro in albergo ad Ulan-Ude, dove preparo tutto per lo “sconfinamento” in Mongolia.

6 AGOSTO

Il trasferimento verso la Mongolia procede senza problemi, anche se la strada non è il massimo. Comincio a pensare che forse i russi non hanno interesse a mantenere in ordine questa via di comunicazione, ma all’improvviso, 5 km prima del confine, la strada si trasforma in una maestosa 4 corsie, quasi come a voler dare un senso di grandeur a chi proviene dall’altra parte. Vai a capire…

Alla dogana il sole picchia a piombo e non c’è riparo; passano due ore, poi i russi si decidono a farci entrare. Altra ora di attesa: è tutto ok, ma l’addetta dell’ufficio deve registrare l’uscita del mezzo dal Paese e non è molto pratica col PC, così bisogna chiamare aiuto. Mi sposto sul lato mongolo, con obbligo di passare in un canale pieno di acqua, dicasi disinfettazione, naturalmente con pedaggio.

Dopo quattro uffici ed il timbro finale sul passaporto, finalmente sono al di là della sbarra. Sono le 6 del pomeriggio, anzi le 7, perché in Mongolia cambia il fuso orario e così mi basta attraversare una frontiera per perdere un’ora. Decido di fermarmi subito al primo albergo, che per fortuna arriva dopo appena 1 km.

La sera sono a cena nel ristorantino di fianco all’hotel. La ragazza del locale, che non spiccica una parola d inglese, mi viene incontro e mi passa il suo telefono: cosa vorrà? Continua a ripetermi solo “Ulan Bator”, impiego un attimo per realizzare e poi capisco che dall’altra parte della cornetta c’è Sambuu, il mio amico mongolo. Grande! Ha riconosciuto l’hotel dalle foto che ho messo su Facebook e ha chiamato per salutarmi!

7 AGOSTO

Ho appuntamento con Sambuu in un posto circa 20 km prima di Ulan Bator. Parto determinato ad arrivare puntuale, però i paesaggi della Mongolia mi prendono: sosto più volte, faccio foto e video a raffica e m’intrattengo con i locali comunicando a gesti. In realtà non so cosa si dica, e credo che neanche loro capiscano granché, però sorridiamo tutti… Il bello della diretta.

Sono quasi le 14 quando giungo all’appuntamento con Sambuu, che è in compagnia di un amico. 16 anni ci separano dalla mia prima visita in Mongolia: io e lui ci incontrammo per caso in moto nel centro e da quel giorno siamo rimasti in contatto. Più tardi conosco la figlia del suo amico, che studia in Italia, a Ferrara; se fossi alle prime armi mi stupirei, ma oramai ne ho viste talmente tante che non mi accade più.

Ulan Bator faccio fatica a riconoscerla: una città dai grattacieli che si alternano a centri commerciali e uffici, con un traffico infernale. Solo le ciminiere che sputano fumo sono indelebili nei miei ricordi, oggi come allora.

Parcheggio la moto da Sambuu, poi andiamo in hotel e più tardi a mangiare qualcosa in compagnia del suo amico e la figlia. Due passi per la Main Square, dove pullulano affitta biciclette e auto elettriche per bambini, e rientro in hotel a mezzanotte passata.

8 AGOSTO

Vengo raggiunto in hotel da un ragazzo che fa parte dello staff del Ministero degli Esteri e vengo trasferito all’hotel Gengis Khan, ospite del sindaco di Ulan Bator, conosciuto a Roma qualche mese fa. Il tempo di prendere possesso della camera che ci spostiamo a 40 km dalla capitale, dove si svolge per due giorni il Naadam, una manifestazione popolare caratterizzata dalla corsa con cavalli (in questo caso i fantini non devono avere più di 12 anni), la lotta ed il tiro con arco.

In auto sono insieme ad una ragazza che fa parte di una delegazione coreana ed è in Mongolia per la prima volta. Quando ci sediamo a tavola ci viene servito del latte di cavalla; lei lo guarda felice e si spara subito una bella sorsata, mentre io rido sotto i baffi. Il latte di cavalla non è proprio facile da mandare giù, ma lei non lo sa perché non l’ha mai assaggiato… e infatti cambia espressione non appena comincia a scendergli in gola…

Mi incontro con la signora Nara, responsabile delle relazioni internazionali, a cui chiedo con successo un pass per entrare nei luoghi dove si svolgono le competizioni del Naadam. Prima entro nell’arena dei lottatori, dove il vincitore si guadagnerà il titolo di di Titanico della Mongolia; poi mi sposto da un’altra parte per vedere il tiro con l’arco; per concludere c’è la corsa dei cavalli, uno spettacolo sempre affascinante. I fantini vengono scortati a 30 km/h e poi, all’improvviso, lasciati alla folle corsa; al traguardo vengono premiati i primi 5 ed il cavallo vincente diventa simbolo di fortuna, così si scatena una ressa infernale per toccarlo.

Quando rientro in hotel è notte. Il tempo di una doccia che Sambuu mi recupera e si va a cena alla terrazza a due passi dal centro; c’è il menu italiano, ordino spaghetti alla carbonara.

9 AGOSTO

La sveglia, implacabile, suona alle 7. Colazione e scendo nella hall dell’albergo armato di fotocamera: lì davanti hanno allestito la hospitality del Mongolia Rally. Alle 8 parte il primo concorrente per il trasferimento di 45 km  verso sud, da dove partirà la gare ufficiale.

Enkhtur mi fa da cicerone, lui che ha corso questo rally, poi anche noi ci trasferiamo alla partenza. Nell`attesa scatto foto e faccio interviste, in particolar modo a due ragazze che si giocano la classifica donne.

Il parco moto e auto è di prim’ordine: KTM 450 Rally replica, due 690 Rally, poi Honda e qualche vetusta Suzuki; tra le auto a giocarsela sono Toyota e Mitsubishi.

La Mongolia è l`ideale per questa gara e, mentre sfilano i concorrenti, mi balena in mente un pensierino per il 2016…

Si torna ad Ulan Bator, faccio una doccia e via verso la località dove è la statua di Gengis Khan. Costruita in acciaio inox, è posta in un rialzo che sovrasta la pianura e, grazie ad Enkhtur, mi faccio un giro in delta o altro aggeggio simile sulla piana, uno spettacolo mozzafiato.

Quando rientro ad UB ho appuntamento con Luciano Cosmo, con un passato glorioso nell’enduro ed ora libero professionista in Mongolia. Cena e poi vado a letto: che giornatina!

Un saluto da Ulan Bator.

GP

accade anche di forare.jpgAltri tempi.jpgBaikal.jpgChiesa ortodossa di Khabarovsk.jpgCon una concorrente del Mongolia Rally.jpgEquilibratura old style.jpgFrame del Naadam.jpgFrame siberiani.jpgGher ad alta tecnologia.jpgi lunghi rettilinei siberiani.jpgIncontri.jpgLago Baikal.jpgMezzi militari on the road.jpgMongolia.jpgMongolia Rally.jpgMongolia Rally .jpgMongolia Rally2.jpgMongolia Rally4.jpgNaadam.jpgNaadam lottatori.jpgSasha e la sua Goldwing.jpgSosta ad un caffe Russia.jpgVladivostock.jpg

  • Biografia
    Biografia

    GP e quelle Due Ruote nel DNA

    La moto è nel DNA di famiglia. Mio nonno andava in moto, mio padre negli anni 50 faceva le gincane e, ad essere sincero, le vinceva. Io non potevo che ereditare questa passione.

  • Il Mondo Su Due Ruote
    Il Mondo Su Due Ruote

    Una vita in moto. E in due libri.

    Dopo 30 anni di viaggi in moto ho battuto le strade ed i sentieri di gran parte del mondo, ma ogni volta che approdo in una nuova terra lontana, il mondo, con le sue meraviglie, mi lascia ancora a bocca aperta...

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